La storia, il paesaggio, gli uomini.

di Francesco Demetrio Megalizzi

Il territorio compreso tra l'Aspromonte e la riva meridionale del Sant'Agata è caratterizzato dall'alternarsi di creste e pianori profondamente incisi dalle valli di piccoli torrenti che scorrono paralleli verso il mare o s'intersecano, disegnando un'idrografia tormentata e di rara bellezza.

Gli squarci aperti dalle acque negli antichi fondali marini che costituiscono i terreni dell'altipiano sono stati scolpiti nei secoli in forme nette, restituendo un panorama di gole e dirupi unico nel suo genere. Nonostante l'altitudine media superi di rado i 500 metri sul livello del mare è difficile riferirsi a questi crinali come a colline, tanto ne sono diversi nella conformazione.

Dominato dal profilo dei monti S. Demetrio (974 m s.l.m.) e Serro Gambari (922 m. s.l.m.) il territorio della parrocchia è compreso nella vallata e negli opposti versanti della fiumara di Armo. Nella sua breve discesa verso il mare, ostacolata da quinte che la tagliano trasversalmente conferendole il tipico andamento serpeggiante, la fiumara alterna strettoie e vaste anse in cui da tempo si coltiva il bergamotto.

Anche questa vallata è stata infatti coinvolta in quel processo di messa a coltura dei terreni marginali che a partire dall'Ottocento ha portato a ricavare porzioni sempre più ampie di fondi irrigati (i cosiddetti giardini) dall'alveo dei torrenti.

La fiumara di Armo ha conosciuto così successive e imponenti opere di regimentazione delle acque, con terrazzamenti e arginazioni che hanno raggiunto l'assetto definitivo alla metà del Novecento, con gli interventi successivi all'alluvione del 1953.

Alle distese verde-cupo dei bergamotteti protetti dai grandi argini in muratura fa oggi da contrappunto il paesaggio spoglio delle pendici che fiancheggiano il torrente e il tracciato arido del suo letto, asciutto per gran parte dell'anno. Lungo la vallata sono ancora visibili le minute opere di terrazzamento che hanno strappato alle pendici, nel corso dei secoli, minuscole strisce coltivabili delimitate dai caratteristici muri a secco (armacere).

In questo scenario si collocano i piccoli insediamenti in cui è distribuita la popolazione della parrocchia. Al margine sud-orientale dei pianori di Gallina, Puzzi si stende nella depressione disegnata dal vallone S. Demetrio. Le contrade Badia e Rocca di Ballo sono collocate sul versante che declina verso la fiumara di S. Agata, mentre Sorgonà e Serre sono poste sul fianco della collina che scende verso il torrente Luppari. Caridi, al margine orientale dei pianori di Scafi e S. Pancrazio, guarda sulla fiumara di Armo. Qui, su uno sperone roccioso, sorge l'antico borgo che dà nome al torrente. Nella vallata sottostante, addossato al pendio che costeggia la fiumara, si stende Pegadi, mentre a nord-est, sulle pendici di Serro Tondo, si trova la contrada Livarelle. S. Andrea, sui rilievi del versante meridionale della vallata, si affaccia su Armo ed è seguito ad est da S. Teodoro, nel fondovalle del vallone della Ciurasara (Ciliegio), e ad ovest da Gurnale, sul pianoro di S. Maria delle Grazie. L'abitato sparso di Aretina, si spiega infine sui piani ai margini sud-occidentali della parrocchia.

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La prima comunità: S. Arsenio e il chorìo bizantino.

Collocata al centro di una campagna fertile, ricca d'acqua e di materie prime, in una posizione dominante e facilmente difendibile, la rupe ai piedi di Monte S. Demetrio dovette apparire già agli occhi di antiche popolazioni come il posto ideale per stabilirsi e fondare un insediamento. Tuttavia, Armo entra tardi nella storia.

La prima fonte scritta che menziona il paese è, infatti, la Vita di S. Elia lo Speleota, un testo greco del X sec. dopo Cristo, che lo indica come il luogo scelto dai monaci Arsenio ed Elia per ritirarsi in preghiera.

Attorno ai due eremiti si raccoglierà ben presto il primo nucleo del futuro monastero di Hagios Eustratios (S. Eustrazio), facendo di Armo un centro attivo di vita basiliana. Lo stesso paese in questo periodo è più di un piccolo insediamento di pastori e contadini.

Le scarne annotazioni della Vita di S. Elia richiamano infatti una realtà complessa, percorsa da tensioni e squilibri sociali ed economici. La presenza del termine "chorìo" nell'espressione Sifurio, poi diventata il nome della contrada che si apre appena fuori del paese; come pure del toponimo "a turri" per indicare una zona della parte bassa della rocca, confermano il ruolo di rilievo assunto da Armo nella campagna bizantina circostante, sottoposta in questo periodo a frequenti incursioni saracene. Una di esse, in un momento imprecisato dei primi anni del X secolo, giungerà infine a saccheggiare l'eremo, profanando la tomba di S. Arsenio. Non si hanno notizie dell'esistenza di un edificio di culto sulla rupe, per quanto la sua presenza appaia plausibile. Unica chiesa conosciuta è quella di S. Eustrazio presso la quale si erano stabiliti i due santi. La tradizione locale ha trasmesso anche la memoria della chiesa di S. Lucio, sempre nel comprensorio del monastero di S. Eustrazio.

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Motta S. Agata, il casale e la comunità di rito greco.

All'epoca angioina (1268) risalgono le prime notizie sull'autonomia dell'antica città-fortezza di S. Agata. Grazie al ruolo giocato nei mutamenti politici avvenuti in Italia meridionale tra XIII e XVII secolo essa rappresenterà il caso più unico che raro, tra le Motte che in quest'epoca circondano Reggio, di resistenza vittoriosa alla sua pressione militare, economica ed amministrativa, riuscendo a mantenersi "indipendente", in forme e contesti via via mutati, fino a circa ottant'anni or sono.

All'interno della Terra di Sant'Agata Armo era un casale, vale a dire un comune a cui era affidata la giurisdizione dei confini meridionali dell'universitas. Si spingeva, lungo la fiumara, fino a Bovetto.

La prima testimonianza dell'esistenza di una chiesa in paese risale al 1310: è dedicata a S. Maria e affidata a un cappellano. Il rito officiato è quello greco; più tardi sarà attestata anche la presenza di un'icona della Kimisis (dormizione), onorata solennemente dal popolo e dal clero nella festa del 15 agosto1. La conoscenza frammentaria delle parrocchie della diocesi greca (corrispondente alla zona meridionale dell'attuale diocesi reggina) non permette di collocare con precisione questa comunità all'interno della chiesa santagatina. Di certo, la circostanza che alla fine del Cinquecento essa fosse affidata alla cura del dittereo di S. Salvatore, non esclude la presenza in paese di ecclesiastici residenti, legati alla numerosa collegiata di S. Agata2.

Dopo l'estinzione di S. Eustrazio la tradizione del monachesimo basiliano viene continuata dal monastero di S. Maria in Trapezomata, e resa illustre, nel Quattrocento, dalla figura dell'abate Onofrio Circino da Armo, che avrà modo di distinguersi in un'epoca di rinascita degli studi e della cultura greca in cui brillano personalità del calibro di Leonzio Pilato e Barlaam da Seminara3.

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La parrocchia latina.

L'elevazione di Armo a parrocchia con il titolo di "Assunzione di Maria Vergine" (1632) fu l'ultimo atto dell'impegno riformatore dell'arcivescovo D'Afflitto verso la chiesa santagatina. Sebbene consacrasse una devozione dai tratti tipicamente greci si iscriveva ormai nella scelta d'imporre definitivamente il rito latino.

Con la decadenza di S. Maria in Trapezomata, Armo diventava così il depositario di una spiritualità capace comunque di rinnovarsi e giungere fino ai nostri giorni.

Il terremoto del 1783, devastando in Calabria paesi e luoghi di culto, rappresenterà un momento di svolta drammatico nella storia delle comunità santagatine. Segnerà la fine di S. Agata come città; Armo subirà danni notevoli, il monastero di S. Maria in Trapezomata verrà abbandonato e in seguito soppresso (più tardi sarà riattata solo la chiesa come cappella padronale). Quasi completamente distrutta sarà pure la cappella intitolata a Maria SS. della Consolazione e S. Rocco, fondata a Puzzi da Giacomo Laboccetta nel 1745, antesignana dell'attuale chiesa di S. Rocco.

Dalle macerie del terremoto e dagli avvenimenti che negli ultimi vent'anni del Settecento cambieranno il volto dell'Europa, la terra di S. Agata risorgerà profondamente mutata.

Un comune circondario risiede nella nuova S. Agata in Gallina, Armo non è più casale ma sottocomune della municipalità di S. Agata in Cataforio, almeno fino al decennio successivo all'unità d'Italia, quando verrà aggregato al comune di Gallina (1870).

Per oltre un secolo la storia della comunità si svolge senza avvenimenti di rilievo, seguendo i ritmi lenti della vita contadina, scandita dal lavoro e dalle pratiche della devozione e della vita associativa (la congrega dell'Assunta sarà fondata nel 1854; dieci anni prima era stata restaurata la cappella di S. Rocco); fino a quando un nuovo devastante terremoto, nel 1908, distrugge il paese e gli abitati vicini.

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Dalla perdita dei comuni ai giorni nostri.

La ricostruzione dal terremoto dovrà attendere quasi vent'anni, quando, in piena epoca fascista, la prima stagione d'edilizia popolare tenterà di migliorare le condizioni di vita della popolazione.

Ad Armo risorgerà il rione Giardini (ovvero le "palazzine") e verrà costruita l'attuale chiesa che sostituirà la vecchia chiesa baracca all'inizio degli anni trenta.

L'inedita presenza dello Stato nella zona non sarà priva di conseguenze: il 7 luglio 1927 un decreto regio a firma di Benito Mussolini pone fine ai settecento anni d'autonomia delle comunità del Sant'Agata. Con la nascita della Grande Reggio quattordici comuni, tra cui quelli di Cataforio e Gallina, vengono assorbiti dalla municipalità reggina.

A compensare la riduzione degli spazi della vita civile e a reagire alla marginalità a cui sembra condannare lo spostamento della sede comunale, interviene l'identificazione sempre più stretta del territorio con la parrocchia, favorita da una straordinaria stagione di crescita spirituale che segnerà profondamente la memoria storica della comunità attraverso l'opera del parroco don Matteo Zema.

I frutti non mancheranno: anche negli anni bui di una guerra vicina come nessun'altra ci sarà spazio per la speranza.

I bombardamenti che battono la vallata nell'estate del 1943 mancano miracolosamente il paese e gli abitati vicini: la pietà popolare non potrà che attribuire il prodigio allo sguardo materno della Protettrice.

Il lento processo di subordinazione al centro cittadino continua negli anni della crescita economica, quando un'altra stagione d'edilizia pubblica per alloggiare gli sfollati dell'alluvione del 1953 rimanda soltanto la crisi dei vecchi insediamenti pre-aspromontani, le cui energie, anche demografiche, sono ormai assorbite da un centro sempre più circondato da una periferia fatta di quartieri dormitorio e paesi sempre più abbandonati.

La crescita di Puzzi e Aretina - agli anni cinquanta risale la costruzione della nuova chiesa di S. Rocco e ai primi anni ottanta quella della chiesa di Maria SS. del Buon Consiglio - compensa in parte il declino dei paesi e delle piccole contrade sparse per la campagna, oggi conseguenza di fenomeni sociali di portata più vasta.

A questi e alle sfide del nostro tempo la parrocchia si accosta con le energie e l'entusiasmo di una comunità in cammino, impegnata a scrivere ogni giorno la sua storia nei gesti piccoli e grandi del servizio e della condivisione.

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Note:

1 ARCHIVIO STORICO ARCIVESCOVILE - Visite pastorali di mons. Annibale D'Afflitto, anno 1605, f. 355
2 ARCHIVIO STORICO ARCIVESCOVILE - Visite pastorali di mons. Annibale D'Afflitto, anno 1595, ff. 361r-366r
3 F. Russo, I seminari calabresi: origini e storia, Napoli, Laurenziana, 1964



Per approfondire.

sul web:

a stampa:

  • D. Megalizzi, Armo: casale e parrocchia di antica fondazione, Villa S. Giovanni, Officine grafiche, 2001.
  • L. Marino Vilasi, Una storia, una vita, Roma, settembre 2009.



Cronotassi dei parroci


1310
Nicola Calabro, cappellano chiesa S. Maria di Armo

[...]

Dal 1632, istituzione della parrocchia:

1632-1661:
don Placido Romeo, curato

1661-1720:
don Teodosio Cardea, economo curato

1721-1761:
don Orazio Modaffari, parroco

1761-1779:
don Giuseppe Calabrò, parroco

1779-1791:
don Paolo Papisca, parroco

1792-1825:
don Pasquale Morabito, parroco

1825-1858:
don Giuseppe Fallanca, parroco

1858-1860:
don Giovanni Vespia, parroco

1860-1904:
don Demetrio Pitea, canonico curato

1904-1934:
don Matteo Zema, parroco

1934-1940:
don Domenico Borruto arciprete, econonomo curato e don Santo Scopelliti, economo curato

1940-1942:
don Giuseppe Musolino, economo curato

1942-1947:
don Salvatore La Face, economo curato

1947-1993:
mons. Alberto Paladino, parroco

1993-16 ottobre 1999:
don Salvatore Paviglianiti, parroco

17 ottobre 1999 - 13 settembre 2001:
don Franceco Cuzzocrea, parroco

14 settembre 2001 - 20 novembre 2005:
don Valerio Chiovaro, parroco

25 novembre 2005 - 30 agosto 2015:
don Yves Pascal Nyemb, amministratore parrocchiale

5 settembre 2015 - 28 luglio 2017:
don Alain Mutela Kongo, amministratore parrocchiale

15 settembre 2017 - 3 ottobre 2018:
don Pasqualino Catanese e don Vincenzo Modafferi, parroci in solidum

3 ottobre 2018 - ad oggi:
don Vincenzo Modafferi, parroco

(tratta da D. Megalizzi, Armo: casale e parrocchia di antica fondazione, cit., pp. 117-120, per gli anni antecedenti al 2001).